Angelitos, Martina Dei Cas

18.06.2023

Buon pomeriggio!

Torno a scrivere le mie impressioni con un libro molto speciale: Angelitos.

Quando Martina mi ha scritto per chiedermi di collaborare con lei e leggere questo libro, ne sono stata onorata. È uno di quei casi in cui spero che avere un po' di seguito e divulgare il mio amore per i libri possa servire a far conoscere a più persone Angelitos.

Perché questo non è un romanzo come gli altri, è la storia vera di un bimbo che non diventerà mai architetto, di un padre che non vedrà crescere suo figlio e di un paese dilaniato da povertà, malavita e omertà.

Ci sono storie che vanno raccontate e conosciute.. ecco perché questa non sarà una classica recensione.

Angel Escalante Pèrez, un bambino di dodici anni,  è stato strappato alla vita e lanciato giù dal Belice, il ponte più alto del Guatemala, per aver detto NO ai suoi coetanei affiliati ad una banda di strada. I ragazzi volevano reclutarlo, come succede ogni volta, contro la sua volontà e per iniziazione avrebbe dovuto sparare ad un guidatore di autobus.

Si è rifiutato.

Gli hanno dato una seconda possibilità, e ha rifiutato di nuovo, ben consapevole che andare contro alla mara può portare solo morte.

E così è andata.

Angelito ha detto NO sapendo che ciò lo avrebbe ucciso. Ha anteposto la giustizia, il senso del dovere, gli insegnamenti avuti alla sua vita, e ha incontrato la morte.


Il suo è stato un atto di profondo coraggio, seguito da omertà e codardia di coloro che dovendo indagare e fare la differenza, non sono stati all'altezza: hanno preferito infilare la testa sotto la sabbia.


Con una scrittura dolce e una narrativa stabile, Martina ripercorre le ultime ore di quella sfortunata vicenda, da quando la maestra a scuola non vede Angelito, a quando i genitori vanno a cercarlo e il padre lo trova in fin di vita. 

Ad aiutarci nella comprensione del racconto ci sono alcuni personaggi silenziosi, gli invisibili che ai margini di una vita disastrata, hanno visto e sanno tutto e provano a fare la differenza, per quanto possibile. Così seguiamo le storie di Carlos il Payaso, Kenya, Rosita..giovani costretti ad un'esistenza troppo adulta, che cercano di restare aggrappati alla vita il più possibile in una società marcia e armata in cui la violenza e l'egoismo hanno la meglio.

Dopo i ritrovamento di Angelito, suo padre decide di dimostrare lo stesso coraggio del figlioletto, iniziando una battaglia contro le bande organizzate,alla ricerca della verità; ma dopo quattro anni, l'elenco degli indiziati era ancora vuoto e dopo svariate minacce di morte la famiglia Escalante è stata costretta ad abbandonare il Guatemala.


Ma allora come si può sopravvivere ed affrontare la minacciosa violenza?

Con un po' di pace, ci spiega Martina grazie alle sue preziose testimonianze. 

E la pace la portano persone pazienti, pentite in carcere, come ex capibanda che diventano motivatori e insegnano ai ragazzi difficili ad usare più sorrisi che armi;  gli educatori come quelli della scuola itinerante del dott Wendy, che cercano di togliere i giovani dalla strada, da giri di droga, spaccio, prostituzione, solvente sniffato, per crearsi qualcosa, per insegnare loro che POSSONO e MERITANO di avere un futuro migliore.

Tali generi di lotte possono sollevare una comunità, e grazie a questi coraggiosi guerrieri, ogni giorno può essere una conquista.


Come mai Martina ha deciso di raccontare questa storia?


Martina, classe 1991, è laureata in Giurisprudenza, e nel 2010 è stata insignita dal Presidente della Repubblica del titolo di alfiere del lavoro. Ama viaggiare e dare voce alle storie dimenticate che incontra lungo i suo cammino.

Difatti, di Angelos Escalante ha sentito parlare per la prima volta nel luglio del 2015, navigando sul web in cerca di informazioni sulle leggi nazionali sul femminicidio in Nicaragua per la sua tesi di laurea. In un articolo veniva raccontata la storia di cronaca nera del piccolo Angelito.

Per giorni Martina ha sperato invano che la notizia arrivasse ai media occidentali per spezzare la forza del mata o mueres dei Mareros.

Dato che l'ipotesi che tutto cadesse nel dimenticatoio non le andava proprio giù, ha deciso che se non ci pensava la stampa, ci avrebbe pensato lei a far conoscere questa storia in occidente.

Dopo un anno di ricerche e tanto coraggio, è riuscita a mettersi in contatto con la famiglia di Angelito e a distanza di 4 anni dall'accaduto è partita con regista Luca Sartori e il fotografo Francesco Melchionda per il Guatemala per incontrare il padre del bambino, Luis, e gli altri personaggi del libro.

Così Martina è riuscita a  riportare oltreoceano questo triste avvenimento che sarebbe scivolato via, altrimenti, come- per parafrasare una citazione della scrittrice- il sapone dalle stoviglie che laviamo mentre distrattamente ascoltiamo cronaca nera dal telegiornale.


La vita va avanti, si, ma va ricordata quella che è stata obbligata a fermarsi.


Martina conclude i suo libro con questa frase:


E io? Io spero che un pezzetto della storia di Angelito, della sua città e della sua gente si sia impigliato nel tuo cuore e che rimanga lì il più a lungo possibile perché, come ha detto il saggio Tamup accomiatandosi da me, Luca e Francesco «nessuna persona muore davvero finché la sua voce riecheggia sulle labbra e nei gesti di coloro che restano».



E allora la mia speranza è che con le mie parole io possa aver contribuito a far conoscere questa storia, troppo simile a tantissime altre che accadono ogni giorno e che possiate mettervi anche voi #inviaggioconangelito per non dimenticare che è compito di chi resta su questa terra portare avanti il ricordo di chi vi è stato strappato e che alla violenza non serve altra violenza ma gentilezza e senso di comunità, appartenenza, amore per l'altro.


A presto!

-Kalpanā


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